La Risposta n. 189/2025 dell’Agenzia delle Entrate affronta il caso di un avvocato che, a seguito dello scioglimento di una associazione professionale, ha continuato a condividere con i colleghi l’utilizzo dei locali, dei dipendenti e dei servizi dello studio, con successivo riaccredito pro quota dei costi sostenuti da uno dei professionisti.
In particolare, l’accordo stipulato tra le parti prevedeva che uno degli ex associati si facesse carico direttamente delle spese per:
- personale dipendente,
- locazione e utenze,
- manutenzione, cancelleria, riviste,
- spese condominiali e vigilanza,
e che successivamente le stesse venissero riaddebitate analiticamente agli altri, secondo percentuali concordate.
Tra i professionisti è nato un contenzioso che ha portato alla nomina di un Consulente Tecnico d’Ufficio, incaricato di verificare l’inerenza e l’ammontare delle spese oggetto di rimborso.
Il professionista istante ha richiesto all’Agenzia se le somme dovute a seguito dell’ordinanza di ingiunzione, così come quelle per spese legali e interessi, dovessero essere:
- soggette a IVA, e in quale misura,
- fatturate analiticamente per voce di costo,
- trattate come riaddebito soggetto al regime del mandato senza rappresentanza
Inoltre, ha evidenziato la detraibilità dell’IVA, in caso di sua applicazione, in quanto spese inerenti all’attività professionale.
L'agenzia sinteticamente ha specificato che il riaddebito dei costi comuni dello studio non costituito in associazione professionale, anche analiticamente ricostruiti nell’ambito di un’Ordinanza del Tribunale, costituisce una somma imponibile ai fini IVA , invece sono esclusi da imposta gli interessi legali richiesti al professionista a fronte del ritardato pagamento del rimborso.
Vediamo gli ulteriori dettagli del chiarimento ADE.
Trattamento IVA costi comuni professionisti: chiarimenti ADE
Va evidenziatro che il recupero della somma è avvenuto in esecuzione di un’ordinanza ex art. 186-ter c.p.c., con emissione di atto di precetto.
L’Agenzia delle Entrate ha effermato che: “Le somme dovute per il riaddebito delle spese comuni non costituiscono il corrispettivo di un mandato, ma rappresentano a tutti gli effetti operazioni imponibili IVA.”
Di conseguenza il professionista che ha sostenuto le spese in prima battuta, deve emettere fattura soggetta a IVA con aliquota ordinaria del 22%, anche per gli importi oggetto dell’ordinanza di pagamento.
Viene confermata, inoltre, la non applicabilità dell’esenzione IVA ex art. 8, c. 35 L. 67/1988, in quanto non si tratta di un distacco di personale tra imprese, bensì di un riaddebito tra soggetti autonomi.
Con riferimento agli interessi legali riconosciuti nella sentenza, l’Agenzia richiama l’art. 15, comma 1, n. 1 del DPR 633/72, e conferma che: “Gli interessi moratori per ritardo nei pagamenti non concorrono alla formazione della base imponibile IVA”.
La funzione risarcitoria prevale su quella corrispettiva. Pertanto, l’IVA non va applicata né indicata in fattura per tali somme.
Sulla questione dell’IVA sulle spese legali da rifondere alla controparte, l’Agenzia ribadisce un principio consolidato: se il soggetto vittorioso è anch’esso soggetto passivo IVA e può detrarre l’imposta, il soccombente non è tenuto a rimborsare l’IVA relativa alla parcella del legale della controparte.
Tale approccio evita una doppia detrazione e riflette il principio di neutralità dell’imposta.
Secondo l'agenzia la circostanza che l’importo dovuto sia stato determinato dal CTU in base a una ricostruzione analitica, non muterebbe quindi la natura dei patti fra i professionisti, che pertanto non potrebbero essere riconducibili al mandato senza rappresentanza di cui all’art. 1703 c.c.
Infine, l’Agenzia conferma che il professionista istante, in qualità di soggetto passivo IVA che utilizza i beni e servizi per finalità professionali, ha diritto alla detrazione dell’IVA sulle spese ricevute in riaddebito, qualora correttamente fatturate con l’imposta esposta.